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Sibilla Cumana
Sibylla Cumana quae Amaltea nuncupatur.

 
 
 
Varrone fornisce una lunga descrizione della Sibilla Cumana, indicandone il nome, Amaltea e Erofile, e la leggenda secondo cui la profetessa si recò dal re Tarquinio Prisco a Roma per vendergli nove libri di profezie: "Septimam Cumanam nomine Amaltheam quae an aliis Herophile vel demophile nominetur, eamque novem libros attulisse ad regem Tarquinium Priscum ac pro iis trecentos philippeos postulasse regemque aspernatum pretii magnitudem derisisse mulieris insaniam illam in cospectu regis combusisse ac pro reliquis idem pretium poposcisse; Tarquinium multo magis insanire mulierem putavisse; quae denuo tribus aliis exustis cum in eodem pretio perseveraret, motum esse regem ac residuos trecentis aureis emisse, quorum postea numerus sit auctus, Capitolio refecto, quod ex omnibus civitatibus et Italicis et Graecis praecipueque Erythraeis coactis adlatique sunt Romam cuiuscumquesibyllae nomine fuerunt". Benché Varrone la collochi a Roma il poeta Licofrone, nel poema drammatico L‘Alessandra, ritiene che il luogo di residenza sia "la montagna di Febo, [...] un antro a volte spalancato nella roccia" situato nella città campana di Cuma. Di differente opinione è anche Iperoco di Cuma, il primo autore a parlare della Sibilla Cumana, che la colloca ad Eritre e la chiama Cumana e Melancraera. Anche il grammatico e commentatore romano  Servio accoglie quest‘ultima origine, ma narra che il dio Apollo, dopo aver concesso alla Sibilla il dono dell‘immortalità, le ordinò di lasciare la città di Eritre. La sibilla approdò dunque a Cuma finché, ormai anziana, ricevette una lettera sigillata con la terra del paese d‘origine. Alla sola vista la veggente perì.
Numerose sono le opere antiche in cui compare la Sibilla Cumana: nel Satyricon di Petronio, dove viene incontrata dal liberto Trimalchione ed esprime il suo desiderio di morire; nel libro XIV  delle Metamorfosi di Ovidio, dove la Sibilla racconta il modo con cui ottenne da Apollo l‘immortalità; la IV Egloga di Virgilio, in cui narrerà la venuta di un fanciullo che redimerà il mondo, ed infine, nel terzo e nel sesto libro dell‘Eneide, sempre di Virgilio. Nel terzo libro Eleno, figlio di Priamo e marito di Andromaca, presenta la Sibilla ad Enea e descrive l‘antro dove risiede, mentre nel sesto la profetessa accompagna Enea nel Regno degli Inferi assumendo il ruolo di Trivia, uno dei tre aspetti di Diana corrispondente al governo dell‘oltretomba.
ICONOGRAFIA
 
La tradizione iconografica identifica la Sibilla Cumana attraverso il simbolo della ciotola a forma di conchiglia che la donna tiene tra le mani. La conchiglia è l‘emblema della città di Cuma, luogo di residenza della veggente.
 
SIBILLA CUMANA NELLA DIOCESI DI BERGAMO
 
Le quattro attestazioni presenti nella Diocesi di Bergamo, di Lallio, Almenno San Salvatore, Verdellino e Sovere non presentano tale attributo. Come consuetudine le veggenti indossano abiti lunghi, mantelli sulle spalle e solo a Lallio e ad Almenno San Salvatore il capo è coperto da un velo. In quest‘ultimo ritratto il velo è avvolto quasi a formare un turbante. Si discosta da queste la veggente di Verdellino, una giovane donna indossante un leggero chitone, dei sandali ai piedi e una corona di foglie sul capo. La profetessa di Sovere e di Lallio tiene tra le mani un testo mentre a Verdellino e ad Almenno San Salvatore un cartiglio.
L‘oracolo profetizzato dalla Sibilla Cumana enuncia la nascita di Cristo. I versi adottati per rappresentare questo evento sono stati tratti dalla IV Egloga di Virgilio, in cui il poeta latino presenta l‘avvento di una nuova età dell‘oro: "Ultima Cumei venit iam carminis aetas; magnus ab integro saeclorum nascitur ordo. Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna: Iam novas progenies caelo dimittitur alto. Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum desinet ac toto surget gens aurea mundo, casta, fave, lucina tuus iam regna Apollo".


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 16-LUG-13
 

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