Sybil[la] Aegypt[iaca] quae et Agrippea quib[us]dam dicta [est]
La Sibilla Agrippea, come l‘Europea compare per la prima volta nell‘opera pubblicata nel 1481 da Filippo Barbieri, Discordantiae nonnullae inter sanctum Hyeronimum et Augustinum. Entrambe le Sibille vennero aggiunte alle dieci del canone di Varrone con l‘intento di rappresentare il mondo occidentale e stabilire così un simbolico equilibrio geografico, finora incentrato ad Oriente.
SIBILLA AGRIPPEA NELLA DIOCESI DI BERGAMO
Nella diocesi di Bergamo è possibile osservare tre ritratti della Sibilla Agrippea: ad Almenno San Salvatore, a Lallio e a Sovere. Tutte e tre le profetesse sono giovani donne ritratte con il volto rivolto verso destra. La veggente di Almenno San Salvatore indossa un chitone con decori in oro stretto in vita, un mantello sulle spalle e un velo verde sul capo. La donna di Lallio indossa un abito nero dell‘epoca, con ricami in oro, e sul capo un velo bianco. Il collo e le orecchie sono impreziositi con una collana di perle e dei pendenti. Gli stessi gioielli, meno lavorati, sono presenti anche nel ritratto di Sovere. Qui il pittore impreziosisce anche il capo, elegantemente acconciato, con un sottile diadema. A Sovere e a Lallio le donne tengono tra le mani un testo, mentre ad Almenno San Salvatore un cartiglio.
Il messaggio leggibile nei ritratti, in forma abbreviata o intera, presenta la venuta di Cristo: "Invisibile verbum palpabitur et germinabit ut radix et siccabitur ut folium et non apparebit venustas eius et circumdabit illum alvus maternus et flebit deus et conversabitur ut peccator".